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Storia & storie

Saint-Exupéry, la grazia e il volo

Lo sguardo verso l’infanzia è un’atemporalità, il perdurare di qualcosa che in noi continua, nonostante il Tempo.

Antoine de Saint-Exupéry, scrittore, aviatore e pilota postale, aveva un’anima fanciulla. Di certo provò un grande sgomento il pilota tedesco che abbatté l’aereo sul quale volava Saint-Exupéry, visto che era un suo ammiratore e che tenne segreto il fatto fino al 2008, quando quasi novantenne, dopo ricerche, indagini ed infine il ritrovamento dei rottami dell’aereo, dovette ammettere che nella notte del 31 luglio 1944 stava sorvolando il Mediterraneo quando decise di abbatterlo. Volava troppo basso sulla costa, Antoine, intento a fotografare le spiagge prescelte per l’Operazione Anvil – Dragoon: lo sbarco alleato nella costa meridionale della Francia concertato con lo sbarco in Normandia.

Saint-Exupéry era un tipo distratto, il tipo che mentre vola pensa a qualcosa da scrivere. Non a caso era incorso in diversi incidenti che gli avevano fatto rischiare la vita. Perché volava? Per portare la posta da un punto all’altro del globo, una missione – a quei tempi – ad alto rischio, tanto che si soleva dire, “dopo tre voli sei morto”. Ma Antoine, dopo tre voli, era rimasto vivo e continuava ostinato a solcare i cieli.

Per lui, portare la posta era una missione: “Niente è più importante della responsabilità”. Il volo, insieme allo scrivere e all’amicizia, erano i cardini della sua vita. Da bambino era soprannominato dai coetanei “Pique la Lune” (Pizzica la Luna) a causa della sua eterna testa fra le nuvole. Ma Pizzica la Luna è anche il nome di un personaggio inventato dal piccolo Antoine, un bambino biondo sempre presente nei suoi disegni e compagno immaginario dei suoi pomeriggi al collegio.

La tendenza all’astrazione ed ai fantasiosi viaggi mentali diventa la sua vocazione il giorno che, a dodici anni, sale per la prima volta su un aereo. Da allora non vorrà più sentirsi legato alla terra, facendo del volo la sua ragione di vita. Oltre la tristezza d’essere diventato adulto. “Da dove vengo? Dalla mia infanzia. Appartengo alla mia infanzia come ad un paese.” (Pilota di guerra, 1942). Basta leggere le righe dedicate al suo migliore amico ne ’Il piccolo principe”: “Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro a una persona grande. Ho una scusa seria: questa persona grande è il miglior amico che abbia al mondo. Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto, anche i libri per bambini; e ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata. E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al bambino che questa grande persona è stato. Tutti i grandi sono stati bambini, una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano). Perciò correggo la mia dedica: A Léon Werth quando era un bambino.”

E’ la storia di una grande amicizia, quella tra Antoine e Léon. Come un inno planetario, è proprio il caso di dirlo, all’amicizia, è “Il piccolo principe”, che si rivolge ad un pubblico bambino come ad un soggetto meritevole di vera letteratura, esigente, curioso e desideroso di sperimentare quel che fa la buona letteratura: creare un legame tra chi legge e chi ascolta, con un linguaggio che è anche e non solo interiore, conoscere se stessi e gli altri nei sentimenti universali.

Il piccolo principe fu pubblicato per la prima volta nel 1943, quando l’autore viveva negli Stati Uniti e Léon Werth, suo amico fedele fino alla fine, nascosto in uno sperduto posto della Francia, perché di origini ebraiche. Si incontravano regolarmente dal 1931. Antoine ammirava Léon, di ventidue anni più grande di lui, per “non aver mai ceduto” e scrisse che l’essenza di Werth era “la sua ricerca della verità, il suo spirito osservatore e la semplicità della sua prosa”. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che Antoine non riuscì a vedere, Léon Werth disse: “La pace, senza Tonio [Saint-Exupéry], non è interamente pace”. Leon Werth vide il racconto, di cui era ispiratore, cinque mesi dopo la morte del suo amico, quando l’editore francese Gallimard gliene spedì un’edizione speciale.

C’era un alone di leggenda sulla scomparsa dell’autore di Vol de nuit, di Pilote de guerre, di Le Petit Prince: quella che fosse volato via, silenziosamente scomparso come il suo principe dai capelli d’oro, un moderno Icaro in eterno volo verso il Sole, che tramonta solo per lui più di quarantatré volte al giorno, quando si sente triste. Ma la storia ci ha svelato che Antoine de Saint-Exupéry venne abbattuto al largo delle coste di Marsiglia da Hors Rippert, allora pilota della Luftwaffe tedesca. Il paradosso della guerra: “Lo adoravo e gli ho sparato”. A dividerli un conflitto mondiale, ad accomunarli l’amore per il cielo, la passione per il volo.

“A scuola avevamo adorato tutti i suoi libri, sognato con le sue avventure nell’emisfero Sud. Come sapeva descrivere il cielo, le paure e le emozioni dei piloti! Era leggendolo che molti di noi avevano scoperto la passione di volare.” Da bambini.

“Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.

[…] Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?

Dall’ “Elogio dell’infanzia”, versi di Peter Handke per la sceneggiatura del film “Il cielo sopra Berlino” (Wim Wenders, 1987).

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